Il test che segue è famoso: ideato nel ’99 dallo psicologo americano Daniel J. Simsons, dimostra quanto la nostra attenzione, che crediamo di dirigere, in realtà si faccia influenzare da schemi e routine. Le istruzioni sono semplici: contare quanti palleggi la squadra bianca esegue. Alla fine chi si avvicina di più al numero giusto (che non vi dirò, ma è sufficiente cercare in rete) è il migliore… Ma siamo davvero sicuri? Non è che le nostre aspettative sono a volte un limite? Provate a seguire le immagini e poi riprendete la lettura del post.
Avete notato qualcosa di strano? La maggior parte di voi probabilmente no, impegnati a raggiungere l’obiettivo prefissato (capire il numero giusto di passaggi) la vostra mente è caduta in un “gap percettivo” ovvero non ha percepito uno stimolo ben evidente e soprattutto fuori contesto. Se non avete notato nulla di strano, riprovate ad osservare il filmato senza focalizzarvi sul compito prescritto e vediamo come va…
Il principio di funzionamento della nostra percezione, che nella disciplina del coaching abbiamo definito ” chi vince ammazza tutti” agisce nello stesso modo: la focalizzazione su di un elemento limita di molto la possibilità di percepire altro; questo è senz’altro utile per evitare di disperdere la nostre energie inutilmente, ma se è portato all’eccesso? Le conseguenze in un processo di sviluppo sono facilmente immaginabili: se mi fisso sul dettaglio sbagliato o su di un pensiero distruttivo, tutto il resto non viene nemmeno percepito, sfugge proprio alla mia consapevolezza, colpendo la mia capacità di cogliere elementi di contesto utili e produttivi.
Secondo elemento: tanto più questo stimolo è distante dal mio normale modo di valutare, percepire, gestire l’ambiente ( ovvero fuori contesto – ad esempio un problema che presenta elementi diversi o inconsueti rispetto alla mia esperienza di vita ed alle mie naturali strategie di coping) e tanto più sarà alto il rischio che io me ne accorga troppo tardi o che mi rifiuti di valutarle questi elementi per eventualmente integrarli in una soluzione creativa.
Terzo elemento: è proprio dal confronto con chi governa il processo di esplorazione, il coach, che possiamo accorgerci di avere tralasciato “dettagli” a volte molto ingombranti, come dimostrato nel test. Pensiamo di avere un quadro della situazione chiaro, di avere valutato ogni elemento, ma nel processo creativo che nasce in una sessione di coaching, invece, scopriamo sempre un valore aggiunto, un’dea nuova, una soluzione inaspettata: insomma un’apertura ad una percezione della realtà che è molto più ricca e complessa di quanto pensavamo inizialmente.