#Storie di Coaching – La storia di Fabrizia M.

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#Storie di Coaching. Una rubrica che racconta le storie di chi utilizza il Coaching per vivere meglio.

D: Annarita, tu che sei coach, che hai visto tante situazioni e che fai parte della generazione x, che situazione ti viene in mente sul tema del tempo e multitasking?

ANNARITA: Posso dire che le donne, nella mia esperienza professionale e di vita, sono più veloci. Lo sono per una serie di motivi: vivono più ruoli ed in un modo più complesso, si prendono carico degli aspetti pratici della famiglia e tendono a farlo anche sul lavoro per cui spesso vengono loro affidate (o se le cercano) delle attività e responsabilità che in teoria dovrebbero esser più condivise. Le velocità  è una conseguenza del sovraccarico e della difficoltà a restituire ciò che non le compete o ciò che non le interessa più. Si sentono brave se si occupano di tante cose… ERGO Le donne hanno meno la capacità di essere verticali e tendono invece ad agire in modo circolare/orizzontale. Per cui nell’organizzazione del lavoro sono forti, ma meno nell’esercizio del potere e nella capacità di orientarsi verso pochi obiettivi ma importanti. Fanno fatica a stabilire l’importanza delle cose a partire dal confronto con le priorità organizzative (utilizzano il loro parametro di importanza) e pensano che più fanno più otterranno riconoscimento.

Comunque sia, venendo a noi, quella che forse più rispecchia il tema di oggi è Fabrizia. Fabrizia è  una donna di 40 anni, coordinatrice dei servizi e responsabile di bottega di una azienda equo solidale in Romagna. L’ho incontrata dopo un affiancamento formativo dedicato alla gestione del cambiamento e si è impegnato in un percorso di coaching della durata di circa 6 mesi.

D: Cosa ha spinto Fabrizia  a chiedere il tuo aiuto?

ANNARITA: Diciamo che l’idea del coaching non è stata inizialmente un’idea di Fabrizia, perché non conosceva lo strumento e non aveva mai fatto un’esperienza in merito. Fabrizia aveva partecipato ad un percorso sulla gestione del cambiamento, dove si erano affrontati alcuni temi sia organizzativi che legati ai fattori personali e lei ha pensato di approfondire e concretizzare il tema con un supporto individuale, ma senz’altro all’inizio non aveva le idee chiarissime su come si lavora in un percorso di coaching. Devo dire che la sua curiosità e l’apertura mentale sono state d’aiuto per iniziare subito a lavorare sul cambiamento. A volte invece, al di là dell’obiettivo specifico,  bisogna investire del tempo per creare le condizioni di disponibilità al cambiamento.

D: Che problemi avete deciso di affrontare?

ANNARITA: La richiesta iniziale era centrata sul bisogno  di riorganizzare i processi di lavoro e le  risorse del team commerciale e di vendita. Da qui poi  è emerso il problema della ricerca di  maggiore equilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro: ridisegnare il suo ruolo di coordinatrice con maggiore consapevolezza, togliendo attività non coerenti, ma anche continuando a  motivare e far crescere la squadra.

D: Che ostacoli ci sono stati?

ANNARITA:  Fabrizia è una persona con grande energia e motivazione, ma anche tendenza a sovraccaricarsi, a salvare gli altri dalle loro responsabilità ed a compensarli ancor prima che avessero dei problemi, per evitare loro il disagio. La difficoltà è stata uscire dalla routine e ancora prima vederla e riconoscerla.

Il primo momento  critico è stato rappresentato da un colloquio in cui lei doveva  restituire ad una collega che non era stata in  grado di svolgere pienamente il suo ruolo, e per farlo doveva distinguere  gli aspetti amicali da quelli professionali. Su questo abbiamo  lavorato a lungo e ci ha consentito di esplorare la dinamica fra valori personali ed esigenze organizzative. L’altro ostacolo è stato rappresentato dalla reazione al cambiamento degli altri; quando una persona cambia e si migliora anche il suo contesto di riferimento è costretto a cambiare.  Come le cronache drammatiche di questi tempi ci insegnano, se poi è la donna che cambia, allora è ancora più complicata la cosa.

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D: Quindi? Che strategia hai usato?

ANNARITA: Prima di tutto il lavoro sulle potenzialità – riconoscimento ed allenamento –  ed i valori che per me sono la  base. Devi dare potenza alle gambe se vuoi che una persona cammini e quindi io parto dai punti di forza. Nel concreto poi abbiamo lavorato sul time management e sulla delega, ridefinendo ruoli e una parte di processi. Ovviamente anche sulla visione d’insieme, sia per lei che per l’organizzazione. Fabrizia è una persona che prende molto sul serio le responsabilità anche verso le persone e non fa mai un passo alla leggera, quindi l’analisi di scenario era ancora più importante.

Poi in diversi  momenti ho utilizzato delle tecniche di insight – scegliendo alcuni concetti (spesso i concetti che scivolavano via nel racconto, quasi per caso) per enfatizzarli ed esplorarli.  Ho anche utilizzato la tecnica del disastro annunciato, l’esplorazione dei paradigmi di riferimento – a volte  mettendoli in discussione –  e il Critical path – la costruzione critica dello scenario futuro.  Ho alternato la parola a strumenti espressivi e simbolici.

D: Cosa c’entra tutto questo col tema del tempo e della lentezza?

ANNARITA:  Il coach deve sostenere, ma non sostituirsi, deve muoversi fra il dovere di accompagnare e quello di lasciare alla coachee il diritto di scegliere la sua strada. Questo significa rispettare i tempi dell’altro ed insegnare anche alla tua coachee a farlo per se stessa. Proprio perché vogliamo essere veloci, chiediamo a noi stesse di andare veloci anche nel cambiamento, ci colpevolizziamo se non lo siamo abbastanza. Ma il lavoro sul processo, sul percorso è importante quanto il risultato finale. Con Fabrizia abbiamo lavorato perché desse valore alle tappe intermedie, ai momenti di dubbio o di difficoltà, alle situazioni di stallo. Tutto ha un significato ed un valore. La lentezza ci rende più capaci di vedere il valore positivo dell’errore, la  forza della fragilità, la profondità delle piccole cose. Ci rende umani e ci aiuta ad avere compassione (nel senso buddista del termine) verso  noi stesse e verso gli altri. Il pensiero profondo è lento; il sentimento profondo è lento, i gesti significativi sono lenti.

 

 

D: Ci sono state ricadute anche sulla sua vita personale oltre che professionale?

ANNARITA:  La ricaduta più immediata è  stata la  consapevolezza che l’alternativa alla situazione passava da lei e da lei sola; una responsabilizzazione sia sull’obiettivo che sul percorso.

La rinuncia al “potere dell’insostituibilità” che di fatto era anche un modello di costruzione e  gestione del suo ruolo di coordinamento, per riconoscere il “potere dell’empowerment”  un modello più orientato all’equilibrio fra  le esigenze di ruolo ed organizzative  da una parte ed ai suoi bisogni dall’altra. Quindi nel concreto la ridefinizione dei ruoli e degli obiettivi da raggiungere – a partire dal suo – la rinuncia ad un incarico politico di governo dell’azienda per fare spazio ad un’altra persona, la crescita di due colleghe con un buon percorso di delega  e il rispetto – finalmente –  degli spazi di riposo e di vita personale a cui aveva quasi rinunciato.

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