D: oggi ti volevo chiedere qualcosa riguardo alla solitudine, alla paura o alla ricerca della solitudine. Mi pare che ne abbiamo in generale una gran paura, anche quelle persone che dicono di stare bene sole…bhè poi non sempre poi è così.
ANNARITA: partirei con fare una piccola premessa, tanto per chiarezza. Solitudine ed autonomia non sono due concetti interscambiabili, anche se mi è capitato di dover chiarire questo fatto nei percorsi di coaching. Ci sono persone che vivono la paura della solitudine legandosi agli altri con lacci emotivi e psicologici di ogni tipo fino a perdere apparentemente ogni indipendenza di scelta o di azione; altre che per lo stesso motivo organizzano la propria vita senza quasi considerare gli altri, per paura di esserne dipendenti emotivamente. In ogni caso è un discorso che abbraccia la sfera dell’intimità – quanto reggo l’intimità con me stessa/o quanto reggo l’intimità con l’altro. Quindi il fatto di “stare bene soli” non è sempre un indicatore di benessere psicologico ed emotivo, così come apprezzare la relazione e preferire condividere la vita con molte persone…non è sempre sinonimo di dipendenza o debolezza.
D: entriamo allora nel merito della questione. Come si sta quando non si sa stare soli?
ANNARITA:la cosa che più ho ascoltato nel tempo dalle mie (e dai miei) Coachee è l’ansia che prende quando si sa (o si pensa) di non avere qualcuno a cui fare immediato e diretto riferimento, soprattutto per le “necessità” di tipo emotivo, piuttosto che per quelle pratiche. Non è tanto il bisogno di aiuto o supporto pratico che si chiede, piuttosto la disponibilità e l’accesso ad una vicinanza di tipo emotivo: ascolto, sostegno, anche solo delle chiacchiere, un contatto umano insomma. Insomma ancor prima della solitudine vera e propria c’è il timore di provare quell’esperienza che spaventa.
D: questo che tipo di problemi genera?
ANNARITA: se diventa una modalità reattiva ed agita nel tempo, genera problemi sia alla persona che a quelli che le stanno vicino, fino ad arrivare a disturbi di ansia vera e propria o di panico addirittura, che chiamano in causa la psicoterapia. Nel caso mi renda conto che occorre un intervento di psicoterapia ovviamente la cosa che posso fare è farlo presente alla persona, che si muoverà in quel senso.
D: e se non si arriva a tanto?
ANNARITA: posso raccontare la storia di Anna, che iniziò un percorso di coaching proprio perchè stanca di sentirsi in difficoltà ogni volta che doveva stare da sola o fare le cose in autonomia. Anna è giovane, lavora, ha un ragazzo, due bei genitori a loro volta giovani ed affiatati. Quindi nulla che potesse spiegare all’apparenza questa difficoltà e questa sensazione. Eppure la sensazione di oppressione, di ansia, stava crescendo mese dopo mese. Si era accorta ad esempio di evitare coscientemente certe attività, per non trovarsi sola nel farle, rinunciando ad interessi propri e adeguandosi ad interessi di altri. Inoltre aveva iniziato in modo sottile a controllare le attività e gli spazi di chi le stava più vicino, proprio per evitare alcune situazioni che per lei si facevano sempre più difficili da tollerare. Questo stava iniziando a pesare anche sulla relazione con il suo ragazzo. Insomma doveva cambiare abitudini!
D: come agire quindi?
ANNARITA: sintetizzo un po’, anche per non entrare in particolari troppo personali e vado subito al centro della questione su cui si è lavorato: il potere.
D: che cosa c’entra il potere, con la solitudine o l’autonomia?
ANNARITA: ci ho pensato molto, anche mentre io e Anna stavamo lavorando insieme sui suoi obiettivi. Se ci fai caso, se sento o penso di non avere potere, allora o lo cerco negli altri per farmi dare supporto, oppure li evito, per non subire il loro. In ogni caso il focus è la percezione di potere che ho – o non ho – nella situazione che vivo. Potere di gestire emotivamente la situazione – potere di comprenderla – potere di raggiungere i risultati importanti per me, quindi percezione di autoefficacia. Quindi abbiamo deciso di individuare degli allenamenti che andassero a modificare alcune abitudini controproducenti e nello stesso tempo potessero rinforzare le sue competenze emotive.
D: puoi fare un esempio?
ANNARITA:ho chiesto ad Anna di fare un elenco delle cose che voleva fare, che le piacevano ed alle quali aveva rinunciato perchè non c’era nessuno interessato come lei o perchè la esponevano al rischio di passare dei momenti di solitudine. Le ho chiesto di dare un voto al suo interesse e al tempo stesso di dare un voto al disagio provato all’idea di doversi muovere in autonomia. Da lì abbiamo individuato le attività che più le davano soddisfazione e meno suscitavano preoccupazione ed abbiamo iniziato a correre dei piccoli rischi. Insomma dall’investimento in termini emotivi meno rischioso e di maggior rendimento! Anna è una persona molto capace nelle relazioni e con valori sociali molto forti. Abbiamo lavorato sulla sua capacità di dare supporto agli altri come leva per migliorare il suo rapporto con se stessa. Abbiamo anche esplorato cosa significava questa indipendenza di scelta, per lei e nelle relazioni che viveva.
D: è sufficiente pensare e capire per migliorare?
ANNARITA: la consapevolezza è importante, ma da sola non basta. La restituzione delle Potenzialità e dei punti di forza durante le sessioni e l’analisi del Profilo emotivo è la base su cui costruire la fiducia in se stessi e nella relazione di Coaching, che ti permette di fare in sicurezza quei passi che da sola non riesci a fare. Inoltre nel suo caso abbiamo anche utilizzato il movimento fisico, per sbloccare l’energia e restituirle la sensazione di empowerment.
D: esercizi, consapevolezza, allenamenti…sembra faticoso. Non è che ci vuoi spaventare 😉
ANNARITA: una certa dose di fatica è sempre da metter in conto; cambiare non è mai indolore, ma la soddisfazione di ottenere risultati…è senza prezzo!